Abramo

Figure della Bibbia

Noè è l’uomo con cui Dio aveva parlato, dicendo di costruire un’arca per la salvezza della sua famiglia e con cui aveva stabilito un’alleanza in seguito al diluvio universale. Dopo questo evento, passano generazioni prima che Dio parli di nuovo. E lo fa ad un altro uomo, che non lo conosceva, un idolatra: Abramo. Sappiamo dal libro di Giosuè che il padre di Abramo, Terach, e la sua famiglia abitavano oltre il fiume Eufrate, nella città di Ur e servivano altri dei (Gs 24, 2). Un giorno, Dio rompe il suo lungo silenzio e parla ad Abramo, che aveva allora 75 anni e una vita ben consolidata, con famiglia e beni materiali.
Dio non si presenta, non chiama neanche Abramo per nome, ma esordisce subito con un ordine: «Vattene». Un imperativo forte, che indica un movimento di uscita, l’inizio di un cammino, un taglio, un lasciare. Lasciare che cosa? Dio continua:
«La tua terra»; Dio ordina ad Abramo di uscire da quella terra fertile tra il Tigri e l’Eufrate, che Abramo sentiva propria, a cui era legata la sua sopravvivenza e che rappresentava la possibilità di vita e il sostentamento materiale per lui e la sua famiglia.
«La tua parentela»; cioè l’intero cerchio famigliare. A quel tempo, la famiglia era intesa in senso allargato, perché di tipo tribale e, dal momento che non esistevano ancora istituzioni, rappresentava la sicurezza e la protezione.
«La casa di tuo padre»; il focolare domestico, il conforto dell’intimità.
Tale è la risolutezza di queste parole che Abramo parte, si mette in cammino, senza una chiara destinazione, verso una terra che Dio gli avrebbe indicato solo passo dopo passo.
Ciò che Dio chiede ad Abramo non è di rispettare certe norme – siamo ancora in un contesto precedente al decalogo – ma solo un ascolto docile e una dipendenza giornaliera da Lui.
E Abramo si fida, supera l’attaccamento alle persone, alle cose, ai luoghi, ai progetti e decide di intraprendere questo cammino da Carran, sua casa, alla terra promessa da Dio.
Compie il passo di uscire da tutte queste certezze seguendo la voce del Signore. Attraverserà il fiume Eufrate verso Canaan e proprio questo passaggio di distacco e cambiamento gli merita l’appellativo di “ebreo”, cioè “colui che ha passato”, “che è andato oltre”, nome che sarà poi attribuito al popolo che Dio si è scelto per benedirlo e al quale rimane fedele per sempre.
Il cammino che Abramo ha intrapreso non è soltanto un itinerario geografico, ma soprattuto spirituale ed è lo stesso cammino che il Signore chiama ciascuno a compiere, per ricevere la pienezza della sua benedizione. Capiamo come la vera Terra Promessa a cui Abramo giunge è piuttosto l’amicizia con Dio. Sarà Dio stesso infatti a chiamare Abramo “mio amico” (Is 41, 8).
La chiamata di Dio segna un prima e un dopo.
Abramo è ritenuto il padre della fede perché ha avuto il coraggio di lasciare sicurezze materiali e affettive, relazioni, sentimenti, progetti, convinzioni per amore al Signore, per fiducia nella sua voce e nella forza della sua chiamata. Questo è un processo di spogliazione che è indispensabile per poter confidare in Colui che chiama e non nelle nostre certezze.
È la radicalità nel passo di fede che dà un seguito alla nostra relazione con il Signore. Senza di essa, non raggiungiamo la realizzazione piena della promessa:
«Farò di te una grande nazione e ti benedirò,
renderò grande il tuo nome

e possa tu essere una benedizione.
Benedirò coloro che ti benediranno
e coloro che ti malediranno maledirò
e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra».
(Gn 12, 2-3)

p. Giuseppe De Nardi

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”