Grazie Signore, che mi hai accolto

Testimonianza di vita consacrata nel mondo

Nicola Scopelliti: Come sei entrata a far parte della Koinonia Giovanni Battista?
Antonella Feriotto: Nel 1999 sono stata invitata da una collega a partecipare ad un incontro in una Casa di preghiera. Allora abitavo e lavoravo a Sondrio, dove un anno prima mi ero trasferita per ricongiungermi a mio marito, che da anni lavorava in quella città. Mi trovavo in uno stato emotivo molto incerto. Ero stata abbandonata dopo sette anni di matrimonio e pur di non restare da sola, ero disposta ad andare ovunque. Nel frattempo avevo già perso tutto. Dopo qualche mese di condivisione, nella Casa di preghiera, si parlava di organizzare un corso. L’iniziativa mi incuriosì e così decisi di parteciparvi. Veniva trattato il tema della “Storia della Salvezza oggi”. L’esperienza mi segnò molto. In quell’occasione mi si fece vicino Gesù, interessato alla mia persona, al mio passato, al presente, ma soprattutto al mio futuro. Senza giudizi e senza nulla pretendere.

Nicola: Qual il tuo primo impatto?
Antonella: All’inizio pensai di essere entrata in una gabbia di matti. Ma scoprii subito un aspetto di non poco conto: la gioia. Questa gabbia però manteneva una porticina aperta: non mi soffocava e mi permetteva di muovermi con libertà. Sapevo che i presenti avevano più o meno vari problemi. Ma il mio era pesante e mi obbligava a mantenere un certo contegno, non potevo cantare, ballare. Ero triste. All’inizio, mi dava un po’ fastidio tutta quella gioia, quella contentezza troppo palese, che non mi appartenevano, ma non volevo andarmene. C’era una sorta di calamita che mi attirava e mi tratteneva. E quando mi ritrovavo da sola ne sentivo la mancanza.

Nicola: Hai provato ad andartene?
Antonella: Quando sono ritornata a Como avevo deciso di non ritornare più nella Casa di preghiera. Però non ci sono riuscita e così mi sono ritrovata a percorrere 200 chilometri alla settimana, tra andata e ritorno, per non mancare agli appuntamenti comunitari a Sondrio.

Nicola: Oltre alla gioia cosa ti ha colpito?
Antonella: Il rispetto. Le persone mi hanno avvicinato non con curiosità, ma come fratelli. Potevo manifestare i miei sentimenti, oppure stare in silenzio tutta la serata, senza sentirmi giudicata. Avevo bisogno di ascoltare e condividere me stessa con gli altri. Improvvisamente i problemi altrui diventavano più grandi dei miei. Era la prima volta che mi trovavo a pregare per gli altri e con la certezza che il Signore poteva cambiare le situazioni perché questo stava succedendo a me, che ero l’ultima arrivata. Non meritavo nulla, mi portavo dietro un bagaglio di esperienze sconfortanti, ferite, sensi di colpa e relazioni che credevo solide e autentiche, ma che si erano frantumate nelle mie mani, come delle olive sotto torchio. Per la prima volta mi sentivo al posto giusto, anche se il dolore c’era ancora e mi condizionava.

Nicola: Pregavi già?
Antonella: In modo molto saltuario. Preghiere già formulate, magari nel momento del bisogno, prima di un esame o in situazioni difficili, ma senza la consapevolezza di essere ascoltata.

Nicola: Frequentavi la parrocchia?
Antonella: Sì, come tutte le mie coetanee. Pregavo sempre, suscitando così nel mio parroco il dubbio che ci potesse essere una chiamata alla consacrazione. Un dubbio dichiarato, ma mai preso in considerazione. Ho avuto la grazia di frequentare le scuole superiori dalle Canossiane e una mia insegnante suora, mi disse che vedeva in me un dono straordinario che meritava di essere scoperto. In realtà, un po’ per paura e un po’ per le sollecitazioni mondane, in quel momento per me più affascinanti o forse perché non era ancora il mio tempo, decisi di soprassedere a questa ipotesi e di andare avanti come potevo in attesa che accadesse qualcosa.

Nicola: Cosa accadde?
Antonella: Intorno ai 20 anni ho smesso di pregare regolarmente, di andare a messa, non c’era più bisogno di disturbare quel Dio che mi aveva già dato tutto: un lavoro, amicizie, un fidanzato che mi adorava. Ricordo bene quel che pensavo: “Io non ho bisogno di Dio”. E così mi sono allontanata. Andare a messa a Natale e Pasqua era ipocrisia, quindi decisi di non andarci più.

Nicola: E poi?
Antonella: Dopo aver accolto Gesù come Signore e Salvatore, avergli consegnato le macerie della mia vita, il Signore non tardò a restituirmi un’esistenza nuova e in pienezza, fatta di riconciliazioni, ma anche di fatiche e ricadute. Innanzitutto con la mia famiglia di origine, che presa dalla curiosità di sapere le ragioni del mio cambiamento, rimase impigliata anch’essa nella rete della Koinonia, ma soprattutto si è legata a Gesù. Non immaginavo che cosa il Signore avesse in serbo per me, a dire il vero anche oggi, dopo quasi vent’anni dal mio primo sì, a volte non capisco dove mi stia conducendo e cosa voglia da me. Ma il Signore riesce sempre a stupirmi.

Nicola: Spiegati meglio.
Antonella: Il primo mio “sì” è stata la sottomissione della mia vita al Signore. Nel 2006 ho pronunciato il secondo “sì”, cioè quello che mi ha legato per sempre a Lui come sua sposa. Era arrivato il tempo di rispondere a quella chiamata, che sentivo già da bambina nel mio cuore, ma che non volevo prendere in considerazione e della quale neppure il Signore ha permesso che qualcuno potesse verificare la veridicità.

Nicola: A distanza di tanti anni, secondo te, perché non hai risposto alla chiamata quando eri ancora ragazzina?
Antonella: Se avessi risposto da ragazzina, probabilmente avrei solo seguito suggerimenti altrui, che non coincidevano con i miei desideri. Nel 2006, quando a Camparmò ho pronunciato i miei impegni, consacrandomi nel mondo, alla presenza di p. Emanuele, di p. Sandro e della Comunità lombarda, era il mio cuore che decideva. Eravamo io e Lui e non avevo altro desiderio che chiudere il cerchio della mia vita, appartenendo solo a Lui.

Nicola: Ed eri certa che questo coincideva con la volontà del Signore?
Antonella: Il Signore mi aveva lasciata libera di fare ciò che volevo, ma non mi aveva mai perso di vista, rimanendo fiducioso che un giorno sarei stata io ad implorarlo di prendermi come Sua sposa. Dico implorarlo, perché non nego che non è stato facile far accogliere la mia volontà per un sì definitivo al Signore.

Nicola: Eri già divorziata?
Antonella: Su suggerimento di p. Emanuele avevo intrapreso la causa di nullità del matrimonio, dichiarato tale nel 2005. Era un altro passo che metteva ordine nella mia vita.

Nicola: Dunque eri libera dal vincolo del matrimonio…
Antonella: Sì. Poco dopo cominciarono ad arrivare da più parti i suggerimenti, che potevo rifarmi una vita costruendomi un’altra famiglia, e che forse sarebbe andata meglio della prima. Lo stesso p. Emanuele m’invitò a riflettere su questa possibilità.

Nicola: Perché p. Emanuele ti suggeriva di risposarti?
Antonella: Credo che volesse mettermi alla prova. Verificare la mia chiamata. Lui sapeva che non poteva esserci spazio per nessun’altra strada nella mia vita, se non quella di seguire totalmente il Signore.

Nicola: C’è stato un altro “sì”?
Antonella: C’è stato un terzo sì. È stata la risposta positiva ad una grande sfida del mondo contemporaneo.

Nicola: Di cosa si tratta?
Antonella: Essere una consacrata nel mondo. Ho fatto i voti perpetui e vivo in un appartamento con Massimiliana, una sorella, anch’essa consacrata. Nel 2005, accomunate dalla stessa esperienza di Gesù e dalla stessa chiamata, ma non certo dallo stesso carattere, il Signore ci chiese di mettere insieme le nostre forze, debolezze, povertà e ricchezze, ma anche i nostri beni spirituali e materiali e di iniziare a condividere un’amicizia autentica, attingendo forza dalla preghiera quotidiana e comunitaria, dall’amicizia in Gesù che ci ha scelto per i suoi progetti.

Nicola: Da quanti anni dura questa sfida?
Antonella: Va avanti da tredici anni e non nego che non è sempre stato facile: siamo due donne. Diverse nel carattere e con esperienze di vita completamente differenti. In questi anni abbiamo imparato ad accoglierci, a stare insieme. Sono contenta di aver detto ancora una volta sì alla proposta del Signore. Ancora una volta Lui ha ragione. Lui non delude mai.

Nicola: Vivi in una Casa di preghiera? E il tuo parroco cosa dice?
Antonella: La mia presenza nella chiesa locale è limitata. Non ho incarichi, ma non mi tiro indietro quando mi viene chiesto di fare qualcosa. Il nostro parroco è a conoscenza della Casa di preghiera e della frequentazione di alcuni parrocchiani. Ci incoraggia ad andare avanti.

Nicola: Cosa fa la Chiesa per la carenza di vocazioni?
Antonella: È vero che le vocazioni scarseggiano, il problema non è che il Signore non chiama più, ma che non si risponde alla chiamata. La Chiesa deve continuare ad essere madre e come tale seguita a pregare per i suoi figli, affinché essi rscoprano la bellezza della chiamata.

Nicola: E tu cosa fai per le vocazioni?
Antonella: Prego. Prego tanto. Ricordo che anni fa, incontrai un sacerdote che oltre a pregare per me, mi incoraggiava a frequentare la Koinonia. Se il Signore ha chiamato me, perché non può chiamare tanti altri? La proposta della Koinonia per la società odierna è appropriata. È adeguata per tanti altri fratelli e sorelle, che oggi non trovano risposte alle proprie domande. Non cambierei nulla della Koinonia. Penso che non debba fare niente di diverso di ciò che già fa, per supportare la Chiesa nella riscoperta delle vocazioni. Sappiamo usare bene l’arma della testimonianza. Credo sia la carta vincente.

Nicola: Cosa dicono di te al lavoro?
Antonella: Lavoro come infermiera in una casa di riposo per anziani. Tutti sanno che sono una consacrata nel mondo. Non mi sembra che la mia presenza condizioni in modo determinante l’andamento del turno di lavoro. Quando i colleghi hanno necessità di “svuotare il sacco”, di alleggerire i pesi familiari o altro, sono loro stessi a cercarmi. Aprono il loro cuore, attendendo una parola di speranza. Ma queste confidenze e aperture non sono destinate a me, quanto a Lui. Inconsapevolmente cercano il Signore. Lo cercheranno finché non lo troveranno.

Nicola: Una professione importante la tua, a sostegno degli anziani.
Antonella: Seguo anziani ammalati, con demenze, ma anche anziani che lo sono solo sulla carta d’identità. Con quest’ultimi, particolarmente con le donne, non è difficile iniziare a parlare di Gesù o pregare insieme. Sono i superstiti di una generazione abituata a confidare nella Provvidenza, a ringraziare per il poco che hanno e a condividere il di più. Sono i vecchi che ancora pregano per i figli, per i nipoti, per i sacerdoti. A volte le anziane più affidabili le coinvolgo nell’intercessione di questioni personali; non mi fanno tante domande e iniziano a sgranare il rosario e si illuminano di gioia perché si sentono valorizzate. Con gli uomini invece è più difficile. Un’attenzione particolare è ai parenti dei pazienti. Le relazioni familiari a volte sono molto deteriorate e mi trovo impegnata a riportare questi cuori ribelli e sofferenti, a riconciliarsi con i loro cari; a perdonare. Spesso purtroppo non si fa in tempo.

Nicola: Ti senti in prima linea a diffondere la Koinonia?
Antonella: Sarà Gesù a guidare i passi di ciascuno. In fondo così è stato per me. Nessuno mi ha obbligato a scegliere, a rimanere e quando mi sono state presentate altre realtà da frequentare, il Signore ha saputo dirigere i miei passi e suscitare in me la scelta migliore. Oggi la Koinonia ha bisogno di me, del mio piccolo contributo. Come non diffondere quanto ho ricevuto e come non dire “Io ci sto Koinonia, conta su di me!”. Mi sento una pioniera della Koinonia Giovanni Battista.

Nicola Scopelliti

Chi è: Antonella Feriotto vive nei sobborghi di Como, dove è nata. Infermiera da trent’anni, da tredici anni lavora in una casa di riposo per anziani a Chiasso, in Svizzera. È stata sposata dal 1991 al 1998, ma non ha avuto figli. Dal 2006 è una consacrata nel mondo per la Koinonia Giovanni Battista. Dall’anno precedente condivide la stessa chiaamta e lo stesso cammino koinonico con Massimiliana.

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”