Perché pregare?

Perché pregare? È una domanda che apparentemente sembra inopportuna e superficiale, ma in realtà è profonda perché mette a nudo le intenzioni dei cuori, soprattutto dei credenti.
Solitamente si risponde dicendo che si deve fare così perché lo chiede Dio, lo chiede la Bibbia, lo chiede la Chiesa, perché siamo necessitati, ecc. Tutte affermazioni che però non vanno alla radice della questione.

Questa volta vorrei rinunciare alle solite risposte e cercarne almeno una che sia più convincente. Non che le altre non lo siano, ma le ritengo non esaustive.
Parto dal fatto di essere un uomo che ha un’interiorità. Il robot è programmato per dare soluzioni possibili, l’animale per trovare vie di uscita istintive legate alla sopravvivenza; l’uomo invece è segnato dalla libertà e quindi dalla capacità di pensare diversamente e di trovare vie finora inesplorate.
Nell’uomo, c’è un bisogno esistenziale di non identificarsi con nulla che sia transitorio, una spinta spirituale ad andare oltre per trovare ciò che è capace di suscitare meraviglia. Solo l’uomo vede semplici cose e sa dire “bello”; macchine e animali vedono cose e “dicono” cose. L’uomo sa attribuire un nome diverso perché percepisce una realtà che va oltre le cose; sa percepire la realtà spirituale.

Ecco la nota tipica dell’uomo che lo rende persona e non una cosa: lo spirito.
Lo spirito è la capacità di percepire altro. Quest’altro è in realtà un Altro con la lettera maiuscola, Dio. Ed
 è con lo spirito che si crea istintivamente un ponte che ci porta oltre l’immediato; si entra in contatto con qualcosa che si riconosce simile, un altro essere dotato di profondità, con la stessa capacità di andare oltre. L’uomo incontra così Dio.
Il linguaggio dello spirito è la preghiera; lo spirito parla con le parole della preghiera.

La preghiera è infatti la grammatica comunicativa tipica dell’uomo, lo strumento attraverso il quale si crea un nuovo linguaggio, un linguaggio che indica non più cose ma significati; un linguaggio che sa creare parole quali amore, bellezza, fedeltà, bontà, comunione, ecc. Queste parole sono le parole del Vangelo, le parole che Gesù ha usato per parlare con noi. Ecco che, quindi, possiamo giungere ad una prima conclusione:

la preghiera è la modalità comunicativa tipica dell’uomo che, comunicando con Dio, crea un linguaggio di amore.

Le parole creano relazioni, significati, strutture ed offrono al nostro cuore punti di appoggio per non cadere imprigionati nella tirannia del presente.
Pregando ci esercitiamo a costruire una relazione di significati reali con Dio stesso, ci rendiamo capaci di vedere e sentire il suo amore che diversamente non potremmo percepire.
Più si prega, più si diventa capaci di dialogare con Dio e chi dialoga con Dio diventa capace di comunione con l’universo intero, con gli altri uomini che possiedono la stessa capacità comunicativa. La preghiera diventa il linguaggio di amore di un popolo che scopre di essere capace di dare la vita per amore.
Ecco qui la seconda conclusione:

quando si prega, si forma un popolo capace di sognare oltre le proprie debolezze, che non si ferma alla sterile giustizia e si apre verso il perdono e la generosa accoglienza.

Forse con queste risposte ho complicato le cose, ma mi piace pensare che la preghiera è il mio vero e unico modo per creare una nuova realtà fatta di eternità, per scoprirmi uomo che vede esseri e sa dire “amore”.

Perché pregare? Per essere e rimanere uomo e non ridurmi a robot o ad un animale.
Perché pregare? Per scoprire cosa significhi amare.
Perché pregare? Per entrare in una relazione di amore con Dio e con i miei fratelli.

Alvaro Grammatica

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”