Ricordo quel giorno – Padre Ricardo Argañaraz

La profezia di Camparmò

Era venerdì 2 aprile dell’anno 1976, verso le 16.00 del pomeriggio quando sono arrivato in modo definitivo a Camparmò, accompagnato dal giovane fratello Sandro Bocchin, Piero Fin, che mi offriva due settimane di lavoro gratuitamente, e altri due fratelli.

Nella prima profezia su Camparmò il Signore dice di Camparmò: “Questo suolo l’ho benedetto Io”. Per questo ogni volta che pongo piede a Camparmò, dal mio cuore sale una profonda gratitudine al Signore per avermi dato un così grande privilegio di stare in un luogo da Lui scelto e benedetto.

Ho preso residenza definitiva in questo suolo benedetto e ho vissuto circa tre anni da solo, dal 1976-1979, pur scendendo a predicare in diverse parti dell’Italia quando mi invitavano, e ricevendo visite da fratelli e sorelle che mi conoscevano. Ci tengo a sottolineare che la strada che porta da Santa Caterina a Camparmò (di circa 3 km), in quel tempo non era asfaltata e la stradina che scende fino a Camparmò non era così bella come adesso, ma era veramente molto ripida e malmessa.

Devo dire che durante questi anni ho molto pregato e digiunato, in attesa che il Signore mi facesse conoscere il Suo progetto sulla comunità che avrei fondato, così come mi aveva indicato durante i mesi di luglio-agosto 1975 a cima Palon dei monti del Pasubio. Durante tutto questo tempo pensavo – riflettevo – studiavo su una futura comunità, centrata nella preghiera; sognavo, dunque, un luogo di vita monastica, dove si sarebbe costituito un monastero, i cui membri avrebbero dovuto essere solo fratelli. Pensavo ad alcuni monasteri da me visitati negli anni precedenti, sia in Italia, sia in Svizzera e in Germania. Alcuni di essi erano veramente molto belli, vi si percepiva una forte unzione proveniente dalla preghiera. Qualcosa di molto simile sognavo per Camparmò.

Nei primi giorni del mese di settembre del 1978, arrivò a Camparmò la carissima sorella, che noi, io con i primi fratelli della comunità, affettuosamente chiamavamo “regina di Saba” per la sua grande magnificenza, accompagnata dalla sorella e dall’autista. In quell’occasione, singolarmente, faceva da “portalettere”: mi portava la lettera, con la quale la sorella Antonietta Salvan mi trasmetteva la bellissima profezia, che ormai chiamiamo “Profezia di Camparmò”.

La sorella Antonietta ricevette l’ispirazione profetica il 25 agosto 1978; verso le 3.00 del mattino ricevette una locuzione: “alzati e scrivi!”. Lei racconta che si alzò immediatamente e di getto scrisse quello che lo Spirito le “dettava nel suo cuore”; racconta che era un fluire dall’inizio alla fine di tutto il testo, il quale, come ho accennato sopra, è davvero molto bello dal punto di vista letterario e molto somigliante agli scritti del libro del profeta Isaia.

Ricordo di aver provato un misto di meraviglia – incredulità, perché non potevo credere che il Signore si fosse degnato di mandare a me personalmente uno scritto, nel quale mi rendeva partecipe del Suo progetto su una comunità futura che sarebbe stata un’espressione concreta di tutte le caratteristiche proprie del Concilio Vaticano II.

Devo dire che la prima volta che mi trovai con la sorella Antonietta a casa sua, prima del 25 agosto, prima ancora di salutarmi, segnalò con il dito il mio cuore con queste parole: “quello che hai nel cuore, è un tuo idolo”: si riferiva al mio progetto di fondare un monastero nella contrada Camparmò di Valli del Pasubio.

Fu alcuni giorni dopo la mia visita, che Antonietta ricevette da parte del Signore la profezia su Camparmò. In essa il Signore mi dava tutto il progetto della futura comunità Koinonia Giovanni Battista: non più il mio progetto, ma il Suo progetto.

A dire il vero, fin dai primi tempi non ho capito in profondità ed estensione la profezia; solo attraverso i fatti vissuti durante gli anni seguenti è andato progressivamente svelandosi in concreto il significato delle parole-concetti presenti nella profezia.

Posso solo dire: “Grazie, Signore per il Tuo infinito amore misericordioso!”.

p. Ricardo

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”