Un popolo in cammino

Il pellegrinaggio nella Chiesa è un fenomeno presente da secoli. A pensarci bene, era presente già nell’Antico Testamento, vista la figura d’Abramo e il vagare del Popolo Eletto per il deserto alla ricerca della Terra Promessa. I popoli nomadi, tra i quali troviamo gli Israeliti, non avendo un luogo fisso per vivere, sono diventati un archetipo e un segno per spiegare l’esistenza umana come pellegrinaggio verso una meta eterna. Perfino il Figlio dell’Uomo dichiara che non ha dove posare il capo (cfr. Mt 8,20).

Eppure è una cosa così tanto umana quella di cercare un posto stabile sulla terra, un punto di riferimento, un luogo di ancoraggio dove possiamo fermarci per rinnovare le nostre forze e delineare di nuovo le tracce delle strade della nostra vita.
Per tanti di noi i santuari sono un luogo di ristoro. In essi troviamo la presenza del Signore che agisce nella nostra storia. Il ricordo degli avvenimenti storici, degli interventi divini e dei miracoli concessi da Dio alle moltitudini di bisognosi ci fa rinfrescare la nostra speranza. Tante volte questo ci porta alla conversione perché, scontrandoci con la bontà del Signore, siamo attirati dai suoi stessi desideri e vogliamo cambiare la nostra vita.

Papa Francesco, apprezzando il ruolo evangelizzatore dei santuari, con la Lettera apostolica in forma di «Motu Proprio» Sanctuarium in Ecclesia dell’11 febbraio 2017, li affidò al Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione e non più alla Congregazione per il Clero. Non sono solo luoghi di pietà e di tradizione ma, pure e, osiamo dire, prima di tutto, di trasformazione di vita di coloro che li raggiungono.

Anche noi, della Koinonia, abbiamo luoghi come questi. In essi si vive la presenza del Signore Gesù oggi. Coloro che vi abitano hanno abbandonato la loro vita a Colui che li ha amati e ha suscitato in loro una risposta di conversione e di dedizione totale.

Questi luoghi sono le nostre Oasi.

In esse troviamo la presenza del Signore che si manifesta, lo sappiamo tutti, non solo nella Parola e nei sacramenti, ma anche nella Sua Chiesa e, in questo caso, la piccola Chiesa che è la comunità di vita.

Fratelli e sorelle di vita consacrata dipendono dal Signore che li ha chiamati ma, vivendo in questo modo, sono pure un segno per tutti gli altri: ci ricordano il nostro destino eterno, il Regno dei Cieli. La loro dipendenza ha pure un altro aspetto: la provvidenza divina che si serve dei fratelli e sorelle che li sostengono con i loro beni.

Questo tipo di simbiosi tra chi vive nell’Oasi e coloro che la visitano è un cammino comune, un pellegrinaggio comunitario. Ci accompagniamo reciprocamente e ci sosteniamo gli uni gli altri per strada, portando avanti la nostra vocazione di essere voce che grida nel deserto. Insieme vogliamo offrire ad ogni persona un’esperienza di ristoro e di scoperta del Signore Gesù, che può portare nella vita di ogni persona un vero orientamento e una forza nuova per incamminarci verso una meta, invece di vagare senza scopo e senza ragione.

L’orientamento e il senso di andare avanti si possono scoprire nella comunità, cioè in questo popolo di pellegrini, ispirati dallo Spirito e dall’evento particolare che ha vissuto ciascuno di noi: l’incontro con il Signore. Camminando insieme, ci facciamo guidare dallo Spirito Santo che si serve dei fratelli, i quali, se lo vogliamo vedere, sono i segnali stradali nel nostro cammino.

Così, anche se fatichiamo, fatichiamo insieme.
Se rallentiamo il passo, non siamo soli.
E, diciamolo con audacia, se sbagliamo la strada, siamo con gli altri.

In queste circostanze basta non chiudere il cuore e non far resistenza alla nostra coscienza per farci ritrovare dal Signore, che è sempre presente nel Suo popolo e nella sua lode.
Così scopriamo la comunità come un “santuario ambulante” che, essendo nel medesimo cammino di fiducia posta in Dio e nei fratelli, invita gli altri a farne parte per non essere più vagabondi smarriti, ma pellegrini spediti verso il Santuario Eterno.

Robert Hetzyg

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”