Intervista a Mons. Pizzaballa sulla Koinonia Giovanni Battista

L’INTERVISTA – S.E. Mons. Pierbattista Pizzaballa:
«Siamo molto felici che la Koinonia porti in Terra Santa
la gioia di appartenere a Cristo».

GERUSALEMME – Da Bergamo a Gerusalemme, col saio francescano, ma inizialmente controvoglia. Il suo “sogno” era quello di studiare Sacra Scrittura a Roma. Ma il desiderio si è realizzato solamente a metà: ha completato gli studi biblici, non nella città eterna, ma in Terra Santa. Di ore di volo tra gli aeroporti di Tel Aviv, Orio al Serio e Fiumicino, ne ha “macinate” tante. Forse troppe. Dal 1990, infatti, risiede in Terra Santa, a Gerusalemme. Vi è approdato, per volere dei suoi superiori, dopo appena 14 giorni dall’ordinazione sacerdotale, avvenuta nella cattedrale di Bologna, per mano del cardinale Giacomo Biffi e dopo aver conseguito il baccalaureato in Teologia. Un vero e proprio choc quando atterrò all’aeroporto Ben-Gurion, catapultato in Terra Santa con un bagaglio linguistico che andava dall’italiano al dialetto bergamasco. Di ebraico e di arabo nemmeno l’ombra. Ma, giunto nella città santa, dopo un periodo non facile ed interlocutorio, iniziò a studiare Sacra Scrittura, l’ebraico moderno e le lingue semitiche, tanto da essere nominato professore assistente di ebraico biblico allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme, il celebre istituto accademico di ricerca biblica e archeologica, uno dei tanti fi ori all’occhiello dei padri francescani di Terra Santa.

CHI È
Mons. Pierbattista Pizzaballa è nato a Cologno al Serio (BG) il 21 aprile 1965, da Pietro e Maria Maddalena Tadini. Ha frequentato le scuole medie nel Seminario Minore delle “Grazie” di Rimini e conseguito la maturità classica presso il Seminario Arcivescovile di Ferrara (giugno 1984). Ha indossato l’abito religioso, il 5 settembre 1984 a Ferrara (S. Spirito) e ha trascorso l’anno di noviziato nel Santuario francescano de’ “La Verna” (Arezzo-Italia), dove ha anche emesso la professione temporanea, il 7 settembre 1985. A Bologna, presso la Chiesa di S. Antonio, quella solenne il 10 ottobre 1989. Sempre nel capoluogo emiliano, il 15 settembre 1990, è stato ordinato sacerdote dal card. Giacomo Biffi . Dal 2 luglio 1999 entra formalmente a servizio della Custodia. Dopo gli studi filosofici-teologici, consegue la licenza in Teologia Biblica allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme. Ricopre l’incarico di Custode di Terra Santa dal 5 maggio 2004 al 20 maggio 2016. Il 24 giugno 2016, dopo avere accettato le dimissioni per raggiunti limiti di età del patriarca Fouad Twal, papa Francesco nomina Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, fino alla nomina di un nuovo patriarca.

Eccellenza, la distanza che separa la Custodia dal Patriarcato è molto breve. Prima, come Custode di Terra Santa, ora come Amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini…

«Le due realtà sono completamente diverse. Il vescovo ha davanti a sé una prospettiva molto più ampia, quella cioè di coordinare le diverse attività pastorali in tutto il territorio della diocesi, che tra l’altro è molto vasto. Il vescovo è anche il pastore di tutti. Il custode riveste un ruolo universale di rappresentante della Chiesa a Gerusalemme, attraverso la vita pastorale, i pellegrinaggi e la sua presenza in Libano e in Siria».

Un’ italiano alla guida della Chiesa Madre, secondo lei, è un vantaggio?

«L’italiano si distingue per una ragguardevole capacità di mediazione rispetto ad altri. Essendo la nostra identità poco marcata, visto che come nazione abbiamo circa 150 anni di storia e che culturalmente coesistono tuttora nel paese delle differenze, ebbene, questo ci rende capaci di accogliere le diversità con maggiore apertura».

A poco più di un anno dalla sua nomina come amministratore del Patriarcato può tracciare un bilancio?

«È stato un anno di sfide, tutt’altro che noioso. Ho incontrato personalmente tutti i sacerdoti. Ed è stato avviato un cambiamento della vita dell’amministrazione, con nuovi vicari e nuovi parroci. Ciò che ora è importante, è lavorare per l’unità della Chiesa, a stretto contatto con il territorio. La nostra è una diocesi “strana”, formata da quattro diversi paesi, tre lingue nazionali e quattro popoli».

Nella sua diocesi patriarcale sono presenti oltre cento congregazioni, sia maschili che femminili, provenienti da molte parti del mondo. Non le sembra eccessivo che tutti chiedano di venire a Gerusalemme?

«No. La fede che noi viviamo è una fede storica, incarnata. La Terra Santa è l’umanizzazione. Essere qui è fare esperienza. Qui ci sono le radici della nostra fede».

Oltre alle comunità tradizionali, come custode ha aperto le porte ai nuovi movimenti religiosi.

«Sono la linfa rinnovata della Chiesa. Ed è perciò inevitabile che siano presenti anche in questa terra benedetta dal Signore. In questi movimenti c’è un elemento comune: l’annuncio».

Tra queste nuove realtà c’è anche la Koinonia Giovanni Battista.

«È un’associazione privata di fedeli, appartenente alla spiritualità carismatica. Il nome richiama all’evangelizzazione fatta nella potenza dello Spirito Santo. Siamo molto felici che questa comunità porti anche qui la gioia di appartenere a Cristo in maniera così festosa e che sia così ben inserita in questa terra con la modalità che è a loro propria».

Come Custode di Terra Santa, lei è stato fondamentale per l’accoglienza e l’inserimento della Koinonia Giovanni Battista nel tessuto ecclesiale di questa terra, perché?

«Credo che il Custode abbia un ruolo importante, anche quello di sostenere coloro che vogliono venire in Terra Santa. I Francescani sono in questo territorio da 800 anni. È la nostra casa e per questo dobbiamo anche aprire le porte a chi bussa».

Cosa l’ha spinta a questi gesti?

«Si viene in Terra Santa per diversi motivi. Per una presenza simbolica; oppure si apre una casa per essere parte attiva nel sostenere i cristiani del luogo, per portare un’esperienza specifica o un proprio carisma».

Ha incontrato i fratelli e le sorelle della Koinonia?

«Sì. Ho visitato la loro comunità a Roma e di recente anche la loro sede a Camparmò».

E il loro Padre fondatore?

«Certo. L’ho incontrato più volte e ho avuto l’occasione per scambi di vedute. Mi ha illustrato la specificità del loro cammino ecclesiale e della loro presenza in vari paesi del mondo. Certo il mio percorso è diverso. Io provengo dal mondo classico, loro sono i figli del Concilio Vaticano II. In loro riconosco il bene che fanno. Naturalmente, come tutte le novità, creano domande, curiosità. Ma questo fa parte delle sane dinamiche della vita della Chiesa, che non è mai ferma, immobile. Il carisma non è statico, continua a suscitare, nel corso del tempo, nuove modalità e testimonianze. Anche se appartengono ad un’altra spiritualità diversa dalla comunemente conosciuta, ciò non significa che essi non siano sulla retta via. Nessuno ha il monopolio dell’attività di Dio nella Chiesa».

Eccellenza, come si comunica la fede nel contesto della Terra Santa?

«Ripartendo da Cristo. Più siamo uniti a lui, più egli diventa il centro della nostra vita. Non credo che ci siano luoghi nel mondo dove non si possa annunciare la fede».

Spesso viviamo immersi nel dubbio. E dubitare può essere segno d’intelligenza. L’intelligenza ha a che fare con la fede?

«Naturalmente. La fede non è un vuoto dell’anima, un sentimento oppure un’emozione. La fede è esperienza. È vita. Quindi il cuore deve essere illuminato dalla mente. Dall’anima».

Come spiega le tante guerre, a volte anche di religione, in Medio Oriente?

«Certamente ci sono motivi storici, umani e politici. È una terra contesa, dal momento che tutti vogliono stare qui a causa del grande valore simbolico che questa terra rappresenta, e con essa Gerusalemme. C’è una sorta di accavallarsi, uno sopra l’altro, per occupare un piccolo spazio. E la conquista, come si sa, è molto macchinosa».
La Terra Santa è attualmente la terra di due popoli, quello israeliano e quello palestinese, in cui i cristiani sono una minoranza spesso schiacciata da entrambe le parti. «Cerco di essere imparziale e corretto con tutti. Ho deciso, dal giorno che sono stato eletto vescovo amministratore della Chiesa Madre, di agire con discrezione. Non forzare le situazioni che, a volte, potrebbero produrre esiti controproducenti. Ma misura ed equilibrio non escludono la difesa ferma della propria posizione, che è poi quella della Chiesa. Purtroppo, in questa terra, la politica condiziona e influenza le situazioni che spesso sono tutt’altro che ottimali. Perciò cerco sempre, attraverso il rispetto, di mantenere buoni rapporti con tutti».

E il ruolo del patriarcato?

«È quello della Chiesa. Non esiste una posizione personalistica. Il Patriarcato non ha alcuna soluzione, se non quella suggerita dalla Santa Sede. Altrimenti entriamo in pericolose logiche settarie. Noi, come cristiani, dobbiamo vivere ed operare in unità, che non significa essere in piena comunione; significa invece trovare il filo conduttore per conseguire l’armonia l’uno con l’altro».

I cristiani si trovano in mezzo a due blocchi: da una parte gli Israeliani e dall’altra i Palestinesi.

«Essere minoranza non è un dramma. Non bisogna piangerci addosso, bisogna invece recuperare il nostro legittimo spazio e il senso della nostra presenza».

Cosa ci può dire della piccola comunità cristiana di origine ebraica?

«È una presenza simbolica, anche se negli ultimi anni, questa comunità è aumentata, in seguito al recente fenomeno di immigrati di lingua ebraica».

E dei messianici, in particolare?

«Il mondo messianico in Israele è composto da moltissimi gruppi, movimenti di area evangelica. È molto difficile instaurare un dialogo, a causa della loro frammentazione. Con la comunità dei fratelli Berger abbiamo un reciproco buon rapporto. Abbiamo un amore comune: l’amore per Gesù e per il suo popolo».

Paolo VI diceva che esiste una “storia della salvezza”, ma che in Terra Santa si esperimenta anche una “geografia della salvezza”. È vero?

«Certamente. L’ha detto Paolo VI nella Nobis in Animo. Sono necessarie entrambe. Il cristianesimo non è un’ideologia e tanto meno una teoria. È innanzitutto una persona: Gesù Cristo. Non c’è evento senza luogo. L’Europa, purtroppo, ha dimenticato questo aspetto».

Nicola Scopelliti

Da sinistra: padre Giuseppe De Nardi, S. E. mons. Pierbattista Pizzaballa, il padre Fondatore padre Ricardo Argañaraz e padre Sandro Bocchin

MONS. PIZZABALLA VISITA CAMPARMÒ

Come siamo soliti “leggere” i fatti che accadono alla luce della fede, abbiamo avuto la gioia di una visita straordinaria a Camparmò il 25 novembre 2017: Sua eccellenza mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico di Terra Santa.

Così, attraverso la sua persona, ci siamo sentiti in comunione con le nostre radici cristiane nel mistero d’amore della Chiesa Corpo di Cristo, Sposa dell’Agnello.

Una visita cordiale, veloce e luminosa, come una stella cometa che annuncia la nascita del salvatore. Camparmò è, per noi della Koinonia, come Betlemme, luogo della nascita. Una relazione nata e cresciuta con gli anni da quando la nostra Comunità è stata accolta in Terra Santa e, ora, accresciuta con questa visita.

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”