Un anno dedicato al Signore

Perché dedicare un anno della nostra vita al servizio del Signore?
Non è già tutta la nostra vita al suo servizio?
Non è quindi un perdere tempo e ritardare il progetto che ha per noi?
Lo devono fare solo quelli che non sanno ancora quali saranno le loro scelte fondamentali?

Sono alcune delle domande che uno potrebbe porsi di fronte ad una proposta di dedicare un anno o qualche mese al Signore.
A prima vista queste domande possono sembrare sagge e opportune, in linea con il tempo di oggi che dice che dobbiamo economizzare ogni momento e viverlo all’eccellenza, seguire un obiettivo e trasformarlo in un progetto, ecc. Davanti a queste obiezioni, poste forse da chi ormai è più grande in età ma non in sapienza, semplicemente sorrido e provo compassione per una visione così miope ed individualista, per non dire egoista.
Prima di tutto quando si serve il Signore non si perde tempo; la vita è un suo dono e a lui deve ritornare.
Non è una pedagogia per coloro che ancora non hanno chiaro il loro futuro, per coloro che sono un po’ “ritardati”; ciò ricorda tristemente le tesi marxiste circa la religione considerata come una fuga per i frustrati.
Impegnarsi per il Signore, in realtà, è investire in un tesoro nel Cielo e dimostrare con i fatti che il Signore vale più di tutto, più dei progetti, più degli affetti, più del tempo stesso.
C’è, però, una motivazione più profonda: vincere la paura di fidarsi di Dio.
Ecco cosa ci attanaglia di più: la paura di fidarci di qualcuno, specialmente se questo qualcuno è Dio stesso.
Dedicare del tempo al Signore, il migliore che abbiamo in dono, la gioventù, è da coraggiosi: si vince la paura del futuro e le proprie debolezze gettandosi in avanti nelle mani del Signore.

La Bibbia dice che “il giusto vivrà per la sua fede” (Abacuc 2,4).

Ciò significa che la qualità della vita dipende dal grado di fiducia che si possiede. La fiducia implica sempre una relazione con qualcuno e per noi questo qualcuno è Gesù, che si fidò del Padre fino a consegnare la sua vita per ricevere poi in dono la resurrezione.
La fiducia si costruisce passo dopo passo, con continui gesti di abbandono nelle mani e nella guida del Signore. E passando il tempo, secondo dopo secondo, aumenta la fiducia e si vince la paura, la nebbia si dirada e si scorge un paesaggio nuovo ed inedito.

Ma perché dare questo anno in comunità e non altrove?
Non è un modo furbesco per “acchiappare” nuove reclute o per formare un futuro esercito di missionari?

No! È invece una questione di fede perché dove vi sono due o più riuniti nel nome del Signore, lui è presente (Mt 18,20). È lì che c’è la sicurezza che le mani dei fratelli sono le mani di Gesù.

Ma perché proprio la Koinonia, la propria comunità e non altre comunità dove si potrebbero trovare altri spunti e visioni che arricchirebbero il proprio bagaglio spirituale e umano?

Anche qui sorrido: è nella mia comunità che sono ben conosciuto, è qui che non posso mantenere le mie maschere per troppo tempo senza venire smascherato. Sono i fratelli che mi conoscono che mi aiuteranno a non scappare in atteggiamenti ipocriti, in molteplici servizi, a non rendere vano il tempo che dedico al Signore.

E la benedizione?

Questa non è la ricompensa come ad un salariato; essa è un dono che si riceve perché si impara ad accoglierlo; essa è una conquista che si ottiene dopo aver lottato; essa è un premio per chi ha vinto la paura.
Un anno per il Signore: per diventare forti e vincere la paura del futuro, la paura di Colui che chiama all’amore.

E tu perché non ti lanci?

Michal Irsák

Testimonianza di Marie

Testimonianza di Klára

Testimonianza di Miscia

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”