Davide

Figure della Bibbia

Il libro dei Giudici conclude così: “In quel tempo non c’era un re in Israele; ognuno faceva come gli sembrava bene”. Questo ritornello che compare già altrove nel libro, fotografa la condizione politica e religiosa delle tribù israelite dopo la presa di possesso della terra promessa e mostra un dato inequivocabile: l’improvvisazione. Israele dipende dalle circostanze, a seconda delle quali il Signore suscita per l’occasione un giudice, lo mette di fronte al popolo e gli conferisce l’unzione necessaria per organizzare e guidare la battaglia.
Alla lunga, questa improvvisazione carismatica, genera inquietudine e insicurezza, a tal punto che il popolo si stanca e chiede al profeta Samuele un re. Il Signore si rattrista perché vuole essere Lui il re d’Israele, ma alla fine cede alla richiesta.
Tra l’“anarchia” del tempo dei giudici e il regno di Salomone – che sarà poi immagine di quello che verrà, cioè regno di pace e prosperità messianica a cui la storia tende – abbiamo l’unzione regale di Saul il cui nome significa proprio ‘richiesto’ e poco dopo quella di Davide: ‘amato’. Essi sono modello di due realtà che nell’arco della storia si trovano in un rapporto dialettico, tutti e due unti dal Signore. Saul è immagine della “struttura” ed è la realtà stessa che lo richiede. Davide è figura carismatica che guida un popolo profetico attraverso tre tappe fondamentali.
  1. Prima tappa: grotta di Adullàm. “Davide si rifugiò nella grotta di Adullàm… Si radunarono allora con lui quanti erano nei guai, quelli che avevano debiti e tutti gli scontenti…” (1Sam 22,1-2).
    Questa fase è caratterizzata dalla spontaneità e dal ‘sentire’ il bisogno di essere liberati da guai e da angustie della vita, da debiti e da tutto ciò che genera scontentezza e amarezza. Le necessità spingono la gente ad andare verso questo luogo di nascondimento, dove vige un’atmosfera familiare, nella quale tutti si sentono ugualmente bisognosi. È in questo periodo che, secondo gli studiosi, Davide compilò il Salmo 34 (33): “Benedirò il Signore in ogni tempo… Ho cercato il Signore: mi ha risposto e da ogni mia paura mi ha liberato…”. C’è la gioia propria del sentire e sperimentare la presenza del Signore, nonostante la precarietà di mezzi.
  2. Seconda tappa: Ebron. “Vennero allora tutte le tribù d’Israele da Davide a Ebron, e gli dissero: «Ecco noi siamo tue ossa e tua carne…». Il re Davide concluse con loro un’alleanza a Ebron davanti al Signore…” (2Sam 5,1.3). La caratteristica di Ebron viene proprio dalla radice stessa della parola ebraica: amicizia. Da relazioni spontanee si passa ad un profondo senso di appartenenza ad immagine dei legami familiari (ossa e carne), e dal sentire si passa al ‘volere’ essere amico. È il momento di impegnarsi pubblicamente con un patto davanti alla comunità e ciò denota maturità nell’amore, infatti l’amore non si identifica con i sentimenti, pur essendo questi una componente importante, ma è una decisione libera che, a volte, va in contrasto con gli stessi sentimenti.
    Purtroppo molti non passano questa tappa e si allontanano colmi di nostalgia per il tempo trascorso nella grotta e di giudizio e amarezza nei confronti dei fratelli che non ci sono più.
  3. Terza tappa: Gerusalemme. “Davide con tutto Israele andò a Gerusalemme…” (1Cr 11,4).
 La città santa è sinonimo di universalità e, oltre ad essere un luogo fisico dove convergono le tribù d’Israele, nel Nuovo Testamento diventa immagine della Sposa di Cristo. Dimorare in Gerusalemme significa quindi ‘rimanere’ nella decisione presa, solo così possiamo essere “uno affinché il mondo creda”, secondo la preghiera dello Sposo.

p. Giuseppe De Nardi

Articolo tratto dalla rivista periodica della Koinonia “il KeKaKò”